Riflessione per la Pasqua

Riflessione

CONFESSIONE DI FRONTE a DIO e COMUNIONE SPIRITUALE

In questi giorni mi sono giunte in Curia alcune lettere che esprimevano un profondo fastidio per il fatto che non si celebrino più le messe aperte al pubblico e anche per la quasi impossibilità dei fedeli ad accostarsi alla comunione eucaristica. Di fronte a queste lettere confesso di aver provato sentimenti molto diversi tra di loro. Un primo sentimento è stato di profondo rispetto nei confronti di quanti desiderano ardentemente partecipare alla messa e accostarsi alla comunione eucaristica. Un secondo sentimento è però stato quello di una profonda perplessità nei confronti di queste richieste, comprensibilissime dal punto di vista psicologico, assai meno da un punto di vista teologico e spirituale. Confesso anche che ho molto esitato prima di metter per iscritto alcune considerazioni temendo, in un momento così delicato e difficile, di offendere la sensibilità di qualcuno.

Mi sono poi tornate alle mente le parole di Gesù “la verità vi farà liberi”, per cui alla fine mi sono deciso a rendere pubblico il mio pensiero. Nel cristianesimo c’è un indubitabile primato dell’amore per Dio che deve manifestarsi nell’amore per il prossimo. La verità e la profondità del nostro amore per Dio si manifesta nel modo in cui amiamo il nostro prossimo. In un momento come questo che stiamo vivendo, fuori dal normale e di assoluta necessità, qual è il primo e più importante modo che abbiamo di amare il nostro prossimo?

Personalmente la risposta mi pare assolutamente ovvia: devo evitare con il massimo scrupolo possibile di essere un pericolo per la vita degli altri e ho anche il dovere di tutelare la mia salute e la mia vita. Naturalmente chi per varie ragioni è impegnato a curare i malati o a garantire servizi indispensabili per tutti i cittadini, con grande coraggio e dedizione, si trova a dover mettere in pericolo la sua salute e addirittura la sua vita per compiere con grande senso di responsabilità e di dedizione agli altri il suo dovere. Ricordo che la tradizione della morale cristiana è sempre stata, giustamente, molto rigorosa nel difendere la vita delle persone. Se per la maggior parte delle persone, il primo e assoluto dovere morale è rispettare la vita degli altri e la propria, questo deve rimanere il valore da difendere più importante di ogni altro. Tutto il resto non può che passare in secondo piano ed essere messo al servizio di questo valore assolutamente prevalente.

A partire da queste considerazioni diventa importantissimo capire perché, in un contesto di assoluta necessità, anche valori di primaria importanza, in tempi normali, come la partecipazione fisica alla messa, la comunione eucaristica e la confessione sacramentale possano passare, fin che dura lo stato di necessità, in secondo piano. La prima e più fondamentale riflessione ci dice che Dio Padre è molto più grande di qualsiasi mediazione umana della salvezza, anche dei sacramenti istituiti dal suo Figlio. Gesù conclude in questo modo la parabola del giudice iniquo e della povera vedova: “Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,7-8). Parafrasando possiamo dire: “Dio non perdona, chi pentito sinceramente gli confessa i suoi peccati, proponendosi anche di andare a confessarsi appena non ci sarà più rischio per nessuno? Dio non alimenta e sostiene la fede di chi – seguendo la messa negli unici modi possibili in questo momento – desidera ardentemente nutrirsi del pane eucaristico per vivere di Gesù Cristo e come Gesù Cristo?”.

L’autentica fede in Dio, nei momenti di necessità come quello che stiamo vivendo, ha la piena certezza del perdono di Dio, della sua vicinanza e del suo sostegno. Detto per inciso, in questo tempo particolare, dobbiamo anche riscoprire la centralità della Parola di Dio per la crescita della nostra fede. Senza il nutrimento della Parola del Signore la nostra fede s’impoverisce. Essa stessa è segno della presenza di Cristo, Verbo del Padre, in mezzo a noi. Quando la Parola è proclamata è il Signore che parla. Nella preghiera in casa dovrebbe essere facile e abituale dedicare tempo all’Ascolto della Parola. Una confessione sacramentale o una comunione reale – nel contesto attuale – non è più efficace di una sincera confessione davanti a Dio o della comunione spirituale. Chi lo pensasse, fa torto a Dio alla sua onnipotenza, al suo amore misericordioso e senza limiti per tutti i suoi figli. Tanto più che il Papa, i Vescovi, i sacerdoti celebrano ogni giorno l’eucaristia da soli, ma a nome e per conto dell’intero popolo di Dio e dell’umanità intera, indipendentemente dal fatto che le loro celebrazioni siano seguite da qualcuno o da nessuno. Offrono l’eucaristia per tutti e svolgono in questo modo il loro ruolo di intercessori e di pastori.

Chi cerca spiritualmente di mettersi in comunione con Dio non deve quindi dubitare che la sua preghiera e l’aiuto che ne riceve siano meno efficaci che se fosse fisicamente presente. Questa modalità di esprimere la propria fede, vissuta con profondo disagio da alcuni, deve ravvivare in ognuno il desiderio, appena sarà possibile, di ritornare a vivere la fede nella forma normale con maggiore fervore e intensità. La rinuncia alla comunione eucaristica e alla confessione sacramentale deve essere vissuta anche come sacrificio e penitenza, preziosa agli del Signore, da chi abituato ad una assidua partecipazione alla messa, alla comunione e al sacramento della Penitenza non li può vivere nella forma abituale. Il cibo materiale non è più importante del cibo spirituale.

Dio però lo si può perfettamente incontrare anche in casa, quando la prudenza ci chiede di non uscire se non per le cose indispensabili alla nostra vita materiale. In tempi come questi ogni attenzione per limitare al massimo i contagi non è mai di troppo: è la forma più importante di carità che la maggior parte delle persone – quelle che non sono impegnate a garantire servizi indispensabili per la vita di tutti – deve praticare con scrupolo.

Don Marco Andina

Don Marco Andina, 1959, è sacerdote della diocesi di Asti dal 1984. Licenziato in teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, è attualmente vicario generale della diocesi di Asti, direttore dell’ufficio scuola (IRC) e delegato per il diaconato permanente.

Lascia un commento